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Writer Officina Blog
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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |

Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |

Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
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Vite che tornano
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La luce dell'alba iniziava ad insinuarsi tra le doghe della persiana proiettando incerti riflessi sulla parete della stanza. La stufa si era spenta da tempo ma ancora qualche fugace bagliore fendeva la penombra delineando, a tratti, le sagome di quattro cucce tutt'intorno disposte. Quattro ceste di vimini ricolme di morbide pezze di stoffa per quattro gatti del tutto disinteressati a quella giornata autunnale che stava iniziando. Acciambellati quasi a formare cerchi perfetti, il musino ben nascosto sotto la coda arrotolata, riempivano del tutto la forma dei panieri tanto che, qualora li si fosse riposti su un divano, li si sarebbe presi per cuscini di pelliccia tanto erano compatti per forma e colore. Soltanto una gatta – quello che occupava la cuccia più a ridosso della stufa – pareva vigile e non perché gli si muovesse un solo pelo o gli vibrasse una sola punta di baffo ma perché gli occhi erano dischiusi in due fenditure sottili. Era in allerta: la casa non era così silenziosa come avrebbe dovuto essere a quell'ora. Ancor prima dell'alba aveva percepito passi furtivi provenienti dalle stanze di sopra e bisbigli che, quantunque incomprensibili, portavano il timbro delle voci dei padroni. Alzò il musino e si guardò attorno. La stanza iniziava lentamente a recuperare i propri contorni. Non era un ambiente lussuoso ma assai curato nei particolari: porte di legno decorate da una mano esperta, piatti e quadri sapientemente appesi, grandi mazzi di fiori secchi a testimonianza del grande lavorio estivo profuso al giardino. Alla gatta tutto ciò non importava. Quella stanza era di suo gradimento perché era calda d'inverno e fresca d'estate, ripiena di poltrone e cuscini e, soprattutto, con una libreria disposta lungo la salita della scala. Da quelle mensole, a ridosso dei libri, dominava il passaggio senza essere troppo notato. In quel momento vide i padroni scendere i primi gradini carichi di due grosse borse: intravide appena lo sguardo colpevole della donna nel mentre sostava su quelle cucce e appena udì il “dai, dai, veloce” dell'uomo che la incitava a non soffermarsi. Ripose il musino sotto la coda senza perderli di vista fino a quando il portone di casa non si richiuse dietro di loro. Non si era sbagliata neppure questa volta: aveva avvertito fin dal giorno prima che qualcosa di strano sarebbe accaduto. Tutto quel tramestio di croccantini lasciati qua e là nell'ingresso, quelle ciotole d'acqua riposte negli angoli dovevano pur significare qualcosa. Ed ora che li aveva visti uscire di soppiatto attenti a non far sgusciar fuori quel forsennato di Mirtillo, aveva capito che sarebbero rimasti soli per più tempo. L'avanzare del giorno stava disperdendo il buio della notte e sebbene le imposte rimanessero chiuse e la stanza continuasse a restare immersa nella penombra, si riusciva ormai a cogliere la fisionomia degli occupanti le cucce. In quella più lontana dalla stufa, Mirtillo, svegliato dal rumore del battente richiuso, si guardava attorno preoccupato. Era un giovane gatto dal pelo color pece, magrissimo, e solo quando dormiva lo si poteva accarezzare essendo da sveglio così scontroso e sempre in movimento da rendere vano qualsiasi tentativo. Era rimasto nell'intimo un ‘selvatico' e solo la padrona riusciva a infondergli sicurezza. Accanto a lui, c'era la cesta più grande: era occupata da Olaf, un bel gatto con ascendenti d'angora dal pelo grigio che sulle zampe virava al bianco. Un pelo folto che la padrona sapeva districare con maestria. Sbadigliò di piacere ricordando quanto fosse cara nell'accarezzarlo; come fosse riuscita a volgere la sua ritrosia in fiducia. Le era grato per essere stata sollecita a porre, sotto la neve – quando ancora in quella montagna nevicava – una scatola affinché potesse ripararsi nell'attesa di decidere se farsi adottare o meno. Anche lui era stato svegliato dal quel portone richiuso e pur essendo troppo filosofo per dimostrare apprensione non poteva nascondersi di sentire già la mancanza della donna la cui presenza tanto lo confortava. Chi invece pareva non essersi ancora accorta di niente era Trixy. Dormiva profondamente e il suo ronfare accompagnava l'andare dell'orologio. La cuccia più vicina alla stufa, infine, era quella di Basileia, confidenzialmente chiamata Basi ma a pochi eletti concedeva di rispondere a quel diminutivo; era l'anziana del gruppo, quella che per prima aveva intuito che qualcosa avrebbe reso quel giorno diverso dall'ordinario. Basileia era una gatta dal pelo bianco pezzato di soriano con un curioso neo sulla punta del naso, occhi grandi, scuri con pagliuzze dorate che guardavano sicuri uomini e cose. Non aveva mai avuto paura di niente. Anche quando Tobia, il cane, le si era posto di fronte, all'improvviso, ringhiando – il muso a pochi centimetri dal suo – lei non si era mossa. Si era semplicemente gonfiata ad arco mentre con la zampa gli graffiava, con mossa misurata ed elegante, il naso: il tutto in una manciata di secondi bastevoli a farlo scappare guaendo. Basi si stiracchiò con indolenza e sbadigliando si avviò verso il posto preferito, lassù tra le mensole della libreria. Guardò con astio Trixy. Non sopportava quella gatta smorfiosa dagli incredibili occhi verdi e dalle strisce soriane di un marrone caldo, tendente al biondo. Non sopportava che non la tenesse in debito conto. Anzi, le dava così poca considerazione da sembrare lei la padrona. E non sopportava vedere come la scontrosità di Olaf cedesse solo davanti a lei. Un sottile filo telepatico – interrotto qua e là da qualche ronfata e timido miagolio - venne ad intessersi tra i gatti. - Da dove si esce? – Mirtillo saltellava qua e là per la stanza in cerca di qualche pertugio. - Non mi va di passare troppe ore in promiscuità con i miei compagni. – pensò Olaf con insofferenza pur senza muoversi dal giaciglio. - Non sono abituata a servirmi dell'acqua della ciotola; lo sanno tutti che bevo solo dallo spinello dell'acquaio della cucina – Trixy, ormai del tutto sveglia, iniziò a leccarsi la zampa con sussiego. - Una sola lettiera! Non penseranno che possa farla lì, insieme agli altri! La farò ai piedi della scala così impareranno! – di quella situazione questo era l'unico aspetto che urtasse profondamente Basileia. Il resto non contava e la possibilità di restare senza cibo ancor meno che niente. Dalla quantità dei croccantini che la padrona aveva sparso nell'ingresso e nella lavanderia (unica stanza la cui porta fosse stata lasciata aperta) aveva dedotto che sarebbero rimasti soli per non più di tre giorni. Forse due, conoscendo quanto fosse previdente. Anche quell'essere reclusi in casa non costituiva per lei un problema: il suo sguardo venne ad incrociarsi con quello di Olaf e capì che anche lui si era ricordato della gattaiola che esisteva in cucina la cui porta, però era chiusa. Ma questo era un particolare irrilevante. Che ci voleva? Un balzo verso la maniglia e poi ancora un altro fino a quando la molla di apertura non fosse scattata. Ma lo sguardo che Olaf le aveva rivolto nascondeva anche un altro messaggio: - Non farlo...per Mirtillo. - E lei capì cosa voleva dire: quello stolto gattino sarebbe scappato e l'incertezza di non trovare la padrona al suo ritorno forse l'avrebbe indotto a non tornare più. Magari si sarebbe allontanato troppo e, inesperto com'era, avrebbe potuto perdere la via di casa. - Che seccatore! – pensò Basileia e lo stesso Olaf dovette ammettere che quella raccomandazione – uscitagli di getto - in realtà lo disturbava e molto. Lo infastidiva la prospettiva di una convivenza forzosa, il non potersi appartare a godere dei raggi di quell'ultimo sole autunnale ai piedi di qualche albero del bosco o in qualche giardino disabitato, ma il timore che Mirtillo potesse non tornare lo induceva a sacrificare il desiderio della solitudine. Il rapporto fra quei due gatti era particolare, forse perché maschi tra due femmine che erano concordi nel reputare l'una decisamente prepotente e l'altra alquanto altezzosa. No, per lui Trixy non era affatto altezzosa... forse un pochino, ma gli piaceva lo stesso; una simpatia che gli nasceva da dentro e che lo portava a non negarle niente; persino a permetterle di mangiare nella sua ciotola. Basileia scese dalla mensola, si stiracchiò con calma dirigendosi poi su per la scala. Era sicura che la padrona non avesse chiuso del tutto la porta della camera da letto. Caracollava un po' nel salire quegli scalini perchè sempre più spesso, con l'incalzare degli anni, quella frattura all'anca tornava a farle male. Ricordava bene come se la fosse procurata. Si era sentita chiamare all'imbrunire, come ogni sera, e nel buio di quel dicembre di molti anni addietro, aveva avvertito dell'ansia nella voce. Per fare presto, per non fare attendere, aveva attraversato di corsa quella curva pericolosa della strada che le era stata fatale ma non così come avrebbe potuto. Le ore della notte erano le migliori per la caccia ma questo gli umani non lo capivano. Del resto, anche a lei piaceva dormire in una soffice cuccia, specialmente d'inverno. Sapeva bene come la sicurezza di una casa si dovesse barattare con la perdita di un po' di libertà. Faceva parte del rapporto che legava uomini e gatti e di questo era piacevolmente consapevole. Non come quello stupido di Mirtillo per il quale casa significava solo un pasto sicuro, qualche gratificante carezza ma niente di più. La sua vita era fuori, di giorno come di notte: l'avrebbe pagata, e forse il prezzo sarebbe stato altissimo come aveva pagato il gatto Figaro. Ancora una volta Basileia non si era sbagliata: la porta della camera era appena socchiusa e cedette del tutto alla pressione della sua zampa. Saltò sul letto finalmente del tutto a disposizione. Si acciambellò col naso sotto la coda: era ottobre e cominciava a fare freddo. Le tornarono alla mente un altro letto, altri padroni. Questo era il brutto di aver avuto più case: qualche volta riemergevano sprazzi di ricordi e non tutti spiacevoli. Ricordò carezze pesanti profuse da mani che avevano poca dimestichezza con i gatti ma che volevano essere amorose. Almeno fino a quando arrivava l'uomo con quell'assurdo spray antizanzare che le schizzava sul muso per farla scendere dal letto. Ma anche lui, in fondo, le voleva bene: solo, non era abituato. Non era stato abituato al contatto con un animale. Già, ‘lei' non glielo aveva insegnato. Non aveva avuto tempo di insegnarglielo; gli animali non erano mai entrati nella sua vita, non sapeva nulla di loro, di qualsiasi razza o specie fossero. Basileia si fermò stupita, consapevole che questi ultimi pensieri, quel ‘lei', non fossero stati formulati dal suo essere gatta ma da un io nascosto che avvertì risalirle dal profondo. Percepì che stava per essere coinvolta in un qualcosa che doveva esserle accaduto altre volte accorgendosi di provare un'emozione non del tutto sconosciuta. Ebbe la sensazione che le si aprisse davanti una finestra e qualcuno la spingesse ad affacciarsi. Cercò di opporsi a quella spinta invisibile nel timore che quanto avesse visto non le sarebbe piaciuto. Mentre con le unghie artigliava la coperta del letto avvertì un suono altissimo, quasi un fragore, e il cuore accelerò i battiti per lo spavento. Il primo impulso fu quello di fuggire sicura che la casa stesse per rovinare e, invece, si accorse che tutto restava immoto: le tende non si muovevano, il lampadario non ondeggiava, le cornici con le fotografie sopra il cassettone non si erano ribaltate. Dalle stanze di sotto non proveniva alcun segno di allarme. Comprese di essere stata la sola ad aver udito quella specie di tuono a cui, peraltro, ora, era sopraggiunto il silenzio. E con il silenzio – un silenzio greve – sentì che la consapevolezza del suo essere gatto stava per abbandonarla. Provò a miagolare con forza ma non le uscì alcun suono. Avvertì il corpo farsi leggero come se una brezza si fosse insinuata tra gli organi, le arterie, i muscoli e, quale scopa delicata, venisse a fare pulizia nell'intento di ricavare un sacco vuoto in cui solo il telaio dello scheletro era ammesso. - Brrr, che pizzicorino! – e un lieve fiotto d'aria le uscì dal naso facendola starnutire. Questo rumore fu come un segnale che venne a cancellare il silenzio e, con esso, qualsiasi apprensione. Basileia, adesso, sapeva cosa stava per accaderle e la paura lasciò il posto alla curiosità. Avvertì distintamente come il venir meno dell'identità di gatto fosse finalizzato all'ingresso di una nuova individualità e fu certa che la facezia del tutto umana delle nove vite di un gatto non fosse una fola: sì, aveva vissuto altre vite con altre sembianze e, in quel momento, ne avrebbe rivissuta una. Facendo appello alla memoria delle prime - quante non avrebbe saputo dire – non le restavano che vaghe immagini dai colori sfocati segno che il traguardo (ma quale?) era stato raggiunto. Era sola allora, senza compagni, non come ora. Intuì che adesso non sarebbe stata una semplice rimembranza, un percorso a ritroso del tutto individuale, bensì, un confronto. Più protagonisti si sarebbero avvicendati e le loro voci si sarebbero sovrapposte le une alle altre – forse avrebbe dovuto chiamarle anime? e si stupì di quel suo pensare forbito che, con naturalezza, ora percepiva risalirle dal profondo di un mondo infinito – e fu certa che i gatti Olaf e Trixy sarebbero stati suoi compagni di viaggio. |
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