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Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Esther Diana
Titolo: D'anima e terra
Genere Narrativa
Lettori 174
D'anima e terra
Si fece annunciare a Don Nino con nome e cognome aggiungendo che era questione urgente. Questa volta, Alide, venne condotta nella terrazza dalle grandi conche di limoni. Non vi era sole quel giorno e la brezza che spirava dai monti aveva dissipato le ultime calure estive purificando l'aria tanto che lo sguardo poteva spaziare fino a intravedere il luccichio del mare, là all'orizzonte.
Si era messa il vestito buono – che era sempre lo stesso – a cui aveva aggiunto, sapientemente, degli intarsi di pizzo laddove la stoffa rivelava maggiormente l'usura. Il risultato era piacevole
e lei, nonostante i quarantatré anni, appariva bella come lo può essere una donna nella piena maturità.
Oltre a Don Nino, seduto su una poltrona sotto un gigantesco ficus, vi erano due uomini in piedi.
- Da sola, io e voi – esordì ancor prima dei convenevoli.
L'uomo soppesò incuriosito quelle parole: gli occhi a fessura per il riflesso del sole che cercava di insinuarsi tra le nuvole, le labbra strette nel solito sorriso ironico; poi, alzò impercettibilmente la mano e quegli uomini si dileguarono all'istante.
- Che avete da dirmi?-
- Quanto volete per il terreno su cui sorge la casa ? –
- Mio Dio, Alide. Che vi siete messa in mente? –
- Rispondete – lo incalzò lei.
Passarono minuti prima che l'uomo domandasse:
- Cosa avete da offrirmi? Sono tempi per i quali se qualcuno ha qualcosa deve mostrarlo per farlo fruttare. Voi avete ‘qualcosa'? –
Alide lo guardò senza alcun rossore, senza alcuna ritrosia. Avvertiva solo il pulsare del cuore sembrandole che si fosse messo in competizione con il frinire delle ultime cicale.
Sapeva bene cosa gli avrebbe risposto: ci aveva pensato e ripensato in quelle notti insonni, o durante quei momenti in cui, seduta sul masso levigato fuori della porta di casa, lo sguardo perso su quel sentiero su cui non transitava Santo con Mulo, era riuscita, finalmente, a convincersi su come trovare soldi per riscattare il terreno della casa. Ovvero, per pagare il suo debito.
- Sì, ce l'ho.-
Il primo sguardo che Don Nino le lanciò fu di palese desiderio ma Alide non si sentì turbata: lo sostenne.
Quando l'uomo riprese a parlare i suoi occhi erano tornati freddi e calcolatori:
- Vi servono denari per saldare il conto con il collegio delle rette di tre mesi che ancora non avete pagato...-
- Come lo sapete? –
Non le rispose e continuò:
- E poi volete il terreno della vostra casa...-
- Quanto in tutto? Devo sapermi regolare, devo sapere quanti mesi dovrò venire da voi; deve essere prima che torni Santo....- Alide lo chiese concitatamente.
Questa volta lo sguardo di Don Nino vagabondò per la distesa di aranceti che tappezzavano la valle.
I frutti stavano maturando e pennellate di color arancio iniziavano a spuntare, qua e là, dal verde cupo del fogliame.
- Volete comprare terra; volete diventare proprietaria come i ricchi che già la possiedono; o come gli accorti che la accumulano da gente come voi, miserabile, che potete solo coltivarla ma non possederla.-
- La voglio per Santo perché lui la vuole – solo questo riuscì a dire, colpita nella propria dignità.
- È tanto ciò che volete e costa...
- Ditemi quanto e fatela finita.
Don Nino tornò a guardarla: «Donne» pensò «posso averne quante voglio...questa è un bocconcino che mi attizza ...ma dopo due, tre, quattro volte, che farmene? Mi si attaccherebbe in virtù dell'accordo...diventerebbe un problema...». E così decise.
- Insieme al vostro corpo voglio anche il cervello.
- Che intendete? – chiese Alide sospettosa.
- Carmelo frequenta molto il barbiere, vero?.
- Che c'entra mio figlio? – si inalberò.
- Calma; statemi a sentire. Ho recentemente alcuni problemuzzi con Don Calogero...nulla di importante – strinse gli occhi serrando la mascella – ma alcune cose che fa o dice, mi innervosiscono...So molto, ma non tutto. Questo ‘tutto' che mi manca me lo potreste dire voi, ascoltando la gente e Carmelo.
- Volete che faccia la spia ai miei compaesani? – chiese incredula Alide.
- Quali compaesani? I mentecatti dei vostri parenti che vi si sono rivoltati contro? Le comari che vi credono presuntuosa, o, peggio, pazza? Quel mezzo uomo di vostro marito?
- Non è un mezzo uomo! È un sognatore...- si inalberò la donna.
- Sì, certo, un uomo lascia una come voi, lascia cinque figli per andare a raccattar soldi per comprare un fazzoletto di terra che produce tre chili di limoni all'anno... –
- Ho sbagliato a venire da voi... – e, offesa, fece l'atto di alzarsi.
- Preferite andare da Don Calogero? – e sottolineò beffardamente il Don - È l'unico che ora può aiutarvi, ma vi conviene? E se no, chi altri? Quei matti dei Ruffillo; o forse potreste sempre andare dai...Quelli sì, potrebbero aiutarvi ma, forse, vorrebbero anche vostra figlia; o, forse, a ben pensarci, preferirebbero i vostri di figli ...Gaetano e Carmelo hanno giusto l'età adatta ai loro gusti – e rise.
- Basta! – gridò Alide e alzatasi corse verso la porta finestra per rientrare in casa e da lì fuggire in strada.
Venne fermata da un uomo:
- Don Nino non ha ancora finito– e gentilmente, ma con fermezza, la ricondusse sulla terrazza.
- Non vi inalberate e statemi a sentire: voglio solo che mi riferiate quanto udite in giro, nelle botteghe o da vostro figlio. Voglio sapere chi ha bisogno, a chi si rivolge e chi lo ascolta. Non è una spiata, ma solo un pettegolezzo come fate voi donne quando vi incontrate. Non estorcerete segreti ma mi riporterete quanto vi verrà detto e quanto accade in paese. Niente di più.
Le aveva preso la mano fra le sue e la guardava e Alide non poté non sentirsi, questa volta, turbata, sebbene sapesse di fronte a quale uomo si trovasse. Fra poco sarebbero stati cinque anni da che era praticamente vedova e si accorse di sentirsi sola, e bisognosa di qualcuno che l'aiutasse, che le dicesse che a tutto avrebbe pensato lui. Riconobbe che le mani di Don Nino erano salde e forti.
- Lavorerete per me fino al rientro di vostro marito ma non meno di due anni, e in cambio pagherò le rette dell'ultimo semestre di studio dei vostri figli e vi darò la terra della casa. -
- Voglio un regolare contratto di vendita.
- Lo avrete. Non verrete più da me ma andrete da Don Felice a confessarvi tutti i sabati mattina... – si interruppe allo sguardo stralunato con cui Alide lo aveva guardato al sentire il nome del ‘complice' con cui avrebbe condiviso quell'incarico.
- ...suvvia, di che vi stupite? – continuò Don Nino.
- Non credo proprio che il prete si presti a fare la spia.
- Quella la farete voi; lui si limiterà a riportarmi ciò che gli direte in confessionale.
- Come posso fidarmi di voi? – gli chiese Alide.
- E io di voi? Potreste inventarvi quanto mi direte ...Che mi crediate o no, l'onore della mia parola è una delle poche cose su cui non sono uso mercanteggiare – e rimarcò queste ultime parole battendo un pugno sul tavolo.
- E voi, quando vi dovrò vedere? – gli chiese senza alcuna vergogna.
- Andate, andate! A questo ci penserò io. All'uscita un mio nipote vi darà qualcosa: prendetela e andate in buona pace.
- Non nipote, Don Nino, chiamatelo picciotto.
- Per questo vostro cervello vi voglio... – e Don Nino si mise a ridere.
Alide non ebbe il tempo di indugiare in altre parole perché – quasi materializzandosi all'improvviso – un uomo la venne a scortare in casa e qui le mise in mano un biglietto da centomila lire che – non avendo mai visto tale cifra tutta in una volta – si cacciò in seno, affrettandosi verso casa per timore di perderlo.
Dopo tanti mesi, quella notte, dormì di un sonno profondo e non perché si sentisse in pace che la decisione che aveva preso era davvero enorme. Semplicemente era sicura di aver trovato la soluzione giusta e, soprattutto, l'unica: Santo avrebbe avuto la terra della casa, i figli a breve si sarebbero iscritti all'università e la disgrazia di Tina avrebbe trovato una logica all'interno del divenire della famiglia.
Lei avrebbe pagato per tutti. Possedeva solo sé stessa. Non aveva altro con cui saldare i suoi debiti e l'avrebbe fatto. La sua intimità, la sua onestà, erano le uniche cose che poteva donare a Santo per risarcirlo di quanto gli aveva negato. Non le sfiorò neppure un momento di essere una traditrice perché non cedeva l'anima, non tradiva per un piacere o per una debolezza personale. Non era la carne a muovere le fila di quel gioco, bensì il desiderio di restituire la vita all'anima di lui.

XIII
«Tornerò per Natale». Di quell'ultima lettera che Santo aveva inviato a casa, solo questa frase si fissò nella sua mente. Sarebbe tornato: dopo sette anni, dopo l'avvicendarsi di talmente tante cose... all'improvviso si chiese «Perché torna?» e non intendeva con questo dire che non voleva che tornasse ma solo temeva che l'estraneità – che inevitabilmente lo avrebbe colto per essere quel nucleo familiare così diverso da ciò che aveva lasciato – non si sarebbe mai dissolta.
«Per Natale»: dunque fra due mesi o poco più e si rammentò che non erano ancora scaduti i due anni del contratto che aveva siglato con Don Nino.
In quel giorno di un'estate che stava ormai per finire, il canto dei grilli presto avrebbe sostituito quello delle cicale. Il sole era già tramontato e solo un ultimo baffo rosso, scuro, quasi violaceo, restava a illuminare il cielo. Santina armeggiava ai fornelli, Gaetano sarebbe tornato a breve e Carmelo...forse.
«Calma, devo stare calma!». Alide uscì di casa per sedersi sul masso ancora caldo per i raggi del sole.
«Domani andrò da Don Nino: mi dirà quanto manca per avere quel foglio di proprietà...riuscirò ad accordarmi. Vedrò come fare»; era tutto un proponimento perché, in quel momento, si ostinava a concentrare l'attenzione sulla proprietà della terra non volendo, ancora, affrontare il ritorno fisico del marito. Che pure, al solo veloce soffermarsi, le faceva battere il cuore in un misto di eccitazione e timore.
A tavola non si parlò altro che del rientro del padre e della festa che andava preparata: c'era da avvertire Vincenzo e Domenico, se già non lo sapevano; c'era da pulire a fondo pavimenti e vetri; rinnovare le lenzuola; forse sarebbe stato necessario comprare anche una tovaglia in una fantasia allegra.
Fu solo con il sopraggiungere della notte che Alide, distesa sul letto, guardando le travi del soffitto illuminate da un flebile raggio di luna che si insinuava tra le doghe della persiana, pensò a Santo non riuscendo, tuttavia, a immaginare come sarebbe stato quel loro incontro. Era così carico di cose da dire, da spiegare, da ritrovare, da farle ricordare il loro primo appuntamento.
I pensieri si susseguivano veloci in un misto di ansia e incertezza: si framezzavano, saltavano da un argomento all'altro, da un impulso all'altro, non trovando la calma per un razionale svolgimento. Due erano i punti principali che maggiormente l'inquietavano: il primo era quello concernete i figli che erano al secondo anno di università e, l'altro, era ancor più viscerale perché si trattava di lei e di quale moglie avrebbe dovuto presentare a Santo.
Non poteva rinfacciare nulla a Don Nino. Anzi, al pensiero dei suoi rapporti con lui non poteva non provare rispetto. In quei quasi due anni non l'aveva mai fatta chiamare con il solo scopo di portarsela a letto. Quando era accaduto – e non erano state molte le volte – era avvenuto quasi per caso, a seguito di un incontro ‘di lavoro' durante il quale i rapporti erano scivolati via dalle dita di entrambi. Lui si era scoperto fragile davanti a quella donna la cui intelligenza era perla rara in quell'ambiente e pure in altre donne, fossero state pure cittadine; lei si era accorta di non avere davanti l'uomo ambiguo, prepotente e violento che tutti dicevano ma, semplicemente, un uomo che non aveva approfittato di lei, come gli sarebbe stato facile. Si era sentita, dopo tutti quegli anni rimasta sola a rigirarsi nel letto dibattendosi su impulsi che solo la notte alimentava, ancora una donna desiderabile e, pur sforzandosi di non cadere nel gioco dei confronti, non aveva potuto fare a meno di pensare a quante volte la dolcezza di Santo, l'abnegazione che provava per lei e il rispetto che le dimostrava, non le fossero bastati. Anzi, avevano represso il loro fare all'amore rendendolo atto fiacco mentre lei lo avrebbe voluto prorompente, sonnacchioso mentre lo desiderava sorprendente, consueto mentre lo avrebbe voluto eccezionale.
Ma con Don Nino non si trattava di amore: entrambi ne erano ben certi. Lui era privo della capacità di provarne; lei amava suo marito. Le cose stavano semplicemente così.
Ora, l'importante era concludere l'accordo; ottenere quel pezzo di carta e, poi, chiudere tutta quella vicenda nel cassetto dei ricordi, perdendone la chiave.
La mattina dopo, andò alla villa di Don Nino. Si sedette davanti a lui e capì che già era stato informato del ritorno.
- Non posso più rispettare l'accordo. Quanto dovete avere ancora per il saldo? – Alide portava una semplice camicetta bianca sulla gonna nera, lunga fino ai polpacci. I capelli erano legati morbidi in una coda bassa.
Don Nino le parve stanco, nervoso; sapeva che gli ultimi tempi non erano stati facili per le sue attività. Doveva agire con accortezza, nell'ombra.
- Mi dispiace che ve ne andiate. Mi piaceva avervi come socia...
-Non lo sono mai stata...
- Diciamo allora che avrei voluto avervi come socia.
- Quanto vi devo ancora? Capite, vero, che una volta tornato a casa Santo non posso più continuare. Quanto manca ancora? – e Alide lo ripetè con ansia.
- Un po', manca ancora un poco...
Restò muta in attesa, chiedendosi come avrebbe potuto fare.
- Mi avete servito bene – Don Nino la guardò a lungo scrutandone prima il volto e, poi, si soffermò sul seno stretto nella camicetta ma il suo sguardo non aveva nulla di volgare; anzi, per un attimo, lei intravide un lampo d'amore.
- La vita è così, Donna Alide – non era mai stata chiamata con quel titolo che comprese essere una nota di rispetto – e quasi mai – continuò l'uomo – ciò che si desidera si è in grado di procurarcelo o di tenercelo. Altre volte è il destino o la fortuna a girarci contro. Con voi ci voglio perdere: dite a vostro marito che venga da me, ditegli che voglio disfarmi di quella terra che non vale nulla. Ditegli che la venderò al primo offerente ma che, se lui vuole, posso fare un accordo favorevole – Don Nino si alzò facendole capire che la conversazione era finita.
- Non ditegli che molto è già stato pagato. Null'altro vi posso dare? – non fu mai certa che quest'ultima frase si riferisse solo ai denari.
- Nulla; potete andare.
- E la carta?
- La darò a lui quando si prenderà il terreno – e la lasciò sola, scomparendo velocemente dietro una porta, senza neppure salutarla un'ultima volta.
Alide tornò a casa con l'animo leggero ma avvertì – e questa volta toccò a lei – la punta di un ago nostalgico pungerle il cuore.

XIV
Tornò smagrito, con abiti sporchi, senza neppure la valigia che gli si era rotta in America durante i viaggi da una città all'altra, alla ricerca di lavoro. Per i suoi indumenti e le poche altre piccole cose bastava il sacco di tela che recava sulle spalle, lercio a non dire.
In mezzo alla confusione della folla, lì nella stazione di Nizza, non c'era stato tempo di guardarlo con calma e solo quando era entrato in casa, nel silenzio di quelle mura, che guardava come affascinato, mentre tutti loro aspettavano qualche parola che ancora non gli usciva, lei iniziò a vederlo.
Era il solito Santo di cui aveva cercato in tutti quegli anni di ricordarne precisamente le fattezze. Si accorse come questa lontananza le fosse pesata molto più della precedente che pure l'aveva trovata donna giovane, gravata da figli piccoli. Questa volta avrebbe dovuto essere tutto più facile e invece, ora, guardandolo, ebbe consapevolezza di tutte le difficoltà, le angosce, le paure, la solitudine in cui si era dibattuta in quei sette anni. Fu una sensazione quasi fisica e, sempre continuando a guardarlo, si accorse di quanto avesse lavorato il trascorrere del tempo sul volto e sul suo fisico e, nello stesso momento in cui si rendeva conto di ciò, ebbe la certezza – forse per la prima volta – che anche lei stava invecchiando. Non era mai stata donna, neppure da giovane, da dare importanza a ciò che vedeva riflesso nello specchio ma, ora, comprese che la stanchezza dello spirito che sempre più spesso le attanagliava il cuore, non rispecchiava altro che il sopraggiungere della vecchiaia.
Santo cercò ancora una volta di concentrare lo sguardo sulla famiglia che era venuta a prenderlo alla stazione. Non vi riuscì del tutto tanto erano ancora prepotenti le immagini del paesaggio che, appena partito dalla stazione di Taormina, avevano del tutto irretito i suoi occhi. Aveva ritrovato i fichi d'India! Si chiese come avesse potuto vivere, in quegli anni, senza mai poter soffermare lo sguardo su di loro. Così distorti, intricati, forti: essenza di quella terra nella quale si riusciva a fruttificare solo se si era in grado di sopravvivere a qualsiasi intemperia e solo se la si lavorava, ovvero la si amava, tenacemente. Non ricordava il sapore dei frutti.
Non era una bella giornata: una nebbia sottile saliva dal mare avvolgendo i campi, gli agrumeti – Dio, quanto gli erano mancate le arance! – senza riuscire, comunque, a celare ‘lei', u' Mungibeddu. Dal finestrino del treno ne scorgeva solo la cima imbiancata, con quel berretto multiforme di colore grigio, minaccioso e spavaldo incurante della pioggia, del vento, persino della neve. Sempre presente a costante conferma che tutto poteva cambiare – la terra, gli uomini, gli animali, le piante – ma lei avrebbe continuato, in qualunque modo, a restare salda, implacabile. E poi, ancora, le case sparse nella campagna: casolari con i muli legati fuori – e provò struggimento pensando a Mulo che avrebbe rivisto – ma anche ville dalle ampie terrazze dove le conche dei limoni e dei gerani erano vittoriosi persino sull'inverno. Il treno correva ma Santo riusciva a cogliere ogni particolare quasi che quelle immagini, evidentemente represse nell'animo, adesso, di fronte alla realtà, recuperassero le proprie fisionomie in un baluginare di ricordi e sensazioni.
Frastornato, era giunto, infine, a casa e fu lì che, finalmente, i suoi occhi si posarono su di loro. Scorse due uomini davanti a lui che lo guardavano sorridendo, gli davano manate sulle spalle; si accorse che si sforzavano di parlare in dialetto. Come primo impulso gli venne da chiedersi «Cu sunu chissi? » ma fu il dubbio di un momento. Vincenzo e Domenico lo abbracciarono stretto. Grandi; erano uomini. E poi scorse Tina e gli si strinse il cuore: non se la ricordava così minuta, così ‘cosuzza'...e quella benda nera sull'occhio! Guardò incidentalmente Alide; fu uno sguardo veloce perché Santo, coscientemente, la volle tenere per ultima. Baciò Gaetano e poi Carme e solo dopo un'altra manciata di minuti, tornò a posare lo sguardo su di lei.
«Come mai io sono invecchiato e lei è ringiovanita? L'America uccide mentre Ciumammari grazia le persone?» si chiese nel mentre la scrutava. Troppi furono i pensieri che vennero a travolgere la mente che si trovò impreparata a sopportarli; spostò lo sguardo sulla stanza. Non la ricordava così bella. C'era un vaso di rami fioriti d'arancio sulla tavola coperta da una tovaglia colorata.
In piedi, spostava lo sguardo ora su un oggetto, ora su un mobile. Dava l'impressione di non capire dove si trovasse: in realtà cercava di assimilare tutto nell'intento di riprendere quel filo che si era spezzato con la partenza.
- È bella questa casa, vero? – disse guardando i figli ma in realtà parlava a sé stesso.
Si sedettero a tavola nella speranza che dal cibo giungesse aiuto per stornare l'imbarazzo che imbrigliava tutti: lui perché si sentiva svuotato e incredulo nel trovarsi con tanti adulti attorno; lei perché si chiedeva troppe cose; i figli perché quando li si lascia da bimbi o poco più e li si rivendica dopo sette anni è difficile che possano sentirti subito come padre.

Aveva dormito per così tanto tempo da sola che l'avvertire Santo al suo fianco quasi le dette fastidio.
Entrambi erano provati, smarriti dalla giornata trascorsa ma, distesi sul letto, nel buio della stanza, sapevano che non avrebbero potuto addormentarsi se prima, almeno qualcosa, non fosse stato detto. Fu lui a lanciarle l'amo:
- Ho saputo cose.
- Ho voluto che la loro vita fosse cosparsa di semi... – Santo rimase sorpreso perché quel verbo ‘seminare' era proprio quello a cui lui aveva pensato in quel lontano giorno a Los Angeles mentre rigirava tra le mani la lettera di lei con sopra scarabocchiato il quadrifoglio. Era vero, dunque, parlavano la stessa lingua e la sintonia con la moglie lo colpì ancora una volta.
- Sono belli questi nostri ragazzi...la città ce li ha cambiati ma è giusto così – Alide comprese che non avrebbe avuto bisogno di spiegare alcunché in quanto il marito aveva già capito e accettato tutto. Ogni altra parola sarebbe stata inutile.
E poi, Santo aggiunse, ma ancora fu solo a sé stesso:
- È stato difficile, assai più della prima volta – e ora fu Alide a ritrovarsi nelle sue parole.
Si girò sul fianco e gli pose un braccio sul torace. Era magro come se lo ricordava, ma un fascio di muscoli, duri e tesi, ricopriva la scarna figura. Niente a che vedere con la possanza di Don Nino e le tornò alle narici il profumo dell'uomo, caldo, forse troppo penetrante; l'avvolgeva, inebriandola. Insinuò la testa nell'incavo del braccio di Santo ritrovandone il suo, di profumo. Un odore lieve come dopo una pioggia quando si respira un'aria che sa di menta, di origano, di rosmarino.
- Non ho avuto alcuna donna, amiche sì, ma non ho avuto altro con loro – le disse all'improvviso e dentro di sé aspettò trepidante la risposta.
- Non ti ho mai tradito – e Alide lo disse con sicurezza perché così era stato. Quel termine ‘amiche' poteva dire qualunque cosa. Anche Don Nino le era stato ‘amico'. Quando uomini e donne si lasciano per così lungo tempo bisogna venire a patti.
- Non vi ho spedito tutti i soldi...qualcosa ho tenuto per me.
- Lo so – gli rispose lei.
- Voglio questa terra che regge la nostra casa.
- Lo so – ripetè aggiungendo – Andate da Don Nino e vedrete che farete l'accordo.
Iniziò ad accarezzarla: prima il volto, poi il collo e da qui, con gesti sempre più misurati, il seno e infine, indugiandovi a lungo, i fianchi. Prese a scorrerla come fosse un tavolo di legno di quercia nodoso, vecchio, e lui volesse avvertire sotto le dita le scabrosità e indagare sulle crepe, le fenditure. Sembrava incerto, smarrito come un giovanetto al suo primo incontro o come, viceversa, qualcuno che ha talmente paura di veder scappare l'oggetto del suo desiderio dall'indurlo a maneggiarlo con estrema cura.
Come dovessero ricominciare da capo, lei lo seguì in un misto di desiderio e timidezza come fosse ritornata ragazzina. Nel fare l'amore ritrovò il Santo che conosceva: posato, sicuro, non importa se non riusciva a farle vedere il sole rifulgere nella stanza. Quegli slanci che lei avrebbe voluto erano solo sopiti dal grigiore con cui la vita lo aveva benedetto. Dopo tanto tempo, la sonnolenta passione che venne ad avvolgerla la convinse che tutto il travaglio fisico e interiore che per sette anni l'avevano torturata, finalmente, era finito: avrebbe riguadagnato la tranquillità del vivere quotidiano. Santo era tornato a casa.
Quel sottile ago appuntito che ogni tanto le feriva ancora il cuore non scomparve ma, da quella notte, ebbe la punta smussata.
Esther Diana
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