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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Enzo Mariotti
Titolo: L'uomo elegante e altre storie
Genere Raccolta di racconti
Lettori 89
L'uomo elegante e altre storie
Vol. I: dove l'ombra prende forma.

C'è un momento, in ogni storia, dove lo specchio si incrina.
Non è un rumore forte: solo un sussurro, come il fruscio di una pagina che si volta da sola. È lì che iniziano questi racconti: nel punto esatto in cui la realtà cede il passo a qualcosa d'altro.

Pioveva.
Una pioggia sottile, insistente, che non lavava via niente.
Giacomo guidava da quasi un'ora, ma non ricordava un solo dettaglio del tragitto. L'ospedale era ormai lontano, dietro di lui. Aveva lasciato Valeria, la sua ex moglie, accanto al letto di Laura, la loro figlia. Come sempre da quasi un mese.
Glioma diffuso della linea mediana. Un tumore cerebrale raro. Molto aggressivo.
La terapia sperimentale sembrava non dare gli effetti sperati. Dobbiamo aspettare, erano le due parole ripetute dai medici. E Giacomo detestava aspettare. Perché l'attesa, in quel caso, sembrava solo un sinonimo pietoso per fine inevitabile.
Si fermò al primo bar aperto. Luci al neon, tavolini luridi, odore di fritto e di birra stantia. Non gli importava. Si sedette, ordinò qualcosa di forte. Poi un altro. Poi un altro ancora.
Mentre fissava il terzo bicchiere ormai quasi vuoto, un'ombra calò su di lui. Una voce roca, bassissima.
“Giacomo. Vieni con me.”
Alzò lo sguardo. L'uomo davanti a lui sembrava uscito da un brutto sogno: enorme, volto di pietra, occhi chiari, glaciali. Indossava un lungo cappotto nero e stava lì, immobile, come se non esistesse niente al mondo se non quel momento.
“A quanto pare, conosci il mio nome,” rispose Giacomo. “Mentre io non so chi sei e cosa vuoi da me. E sinceramente, non me ne frega un cazzo. Lasciami in pace.”
La mano dell'uomo si posò sulla sua spalla. Ferma, durissima.
“Vieni con me. Adesso.”
Giacomo pensò di gridare, di chiamare aiuto. Come se avesse letto i suoi pensieri, l'uomo aumentò appena la stretta sulla sua spalla. “Alzati. Andiamo.”
Si alzò e seguì l'uomo fuori dal locale, fino ad una berlina nera con i vetri oscurati. Non riusciva a riconoscere la marca e il modello. L'uomo aprì la portiera posteriore e lo fece salire. Chiuse la portiera, salì al posto di guida e partì.

“Dove mi stai portando?” chiese Giacomo. Era confuso, ma stranamente non impaurito.
“Lo vedrai. Arriveremo presto.”
“Chi sei?” Nessuna risposta. Solo il riflesso di quegli occhi gelidi nello specchietto retrovisore.
L'auto imboccò una strada secondaria che si addentrava nella campagna, e pochi minuti dopo si fermò davanti ad una casa isolata. L'uomo scese dall'auto e aprì la portiera posteriore. “Siamo arrivati. Scendi e vieni con me.” Lo seguì lungo il vialetto di accesso. La casa sembrava abbandonata, ma da una delle finestre al pianterreno, oscurata da una tenda, filtrava della luce. L'uomo aprì la porta d'ingresso e lo fece entrare, scortandolo poi lungo un breve corridoio. Aprì una porta laterale. “Entra,” disse, facendosi da parte per lasciarlo passare e richiudendo la porta alle sue spalle.
Si trovò in una stanza calda, elegante. Librerie alle pareti. Un pianoforte a coda. Al centro della stanza, due poltrone poste una di fronte all'altra.
E seduto su una della poltrone, un uomo.
Alto, slanciato, una corta barba curata, sguardo divertito. Indossava un impeccabile completo scuro, un libro era poggiato aperto sul bracciolo.
“Giacomo,” disse. Aveva un tono di voce morbido e caldo, senza inflessioni. “Ben arrivato.” indicò la poltrona vuota con un gesto della mano. “Prego, accomodati.” Giacomo si sedette, meccanicamente.
“Per prima cosa, ti prego di scusare i modi di Varner. È un valido collaboratore, ma a volte può essere un po'...brusco.”
Perché mi avete rapito? Avete sbagliato persona. Io non sono ricco. Non..”
“Rapito?” Lo interruppe l'uomo, sorridendo. “no, assolutamente no. Capisco che il modo in cui ti ho...convocato da me possa esserti sembrato non molto convenzionale, ma sei un ospite, non un prigioniero. Ti offrirei qualcosa da bere, ma temo che tu ne abbia già avuto abbastanza. L'alcool annebbia la mente, e io preferisco che i miei ospiti siano..lucidi.”
Giacomo si guardò intorno, confuso. “Io...io voglio andarmene.”
“E lo farai, promesso. Quando vorrai, Varner ti riaccompagnerà alla tua auto, o dovunque tu voglia andare. Magari gli dirò anche di sforzarsi ad essere un po' più loquace, se avrai voglia di chiacchierare. Ma prima...Vorrei che tu ascoltassi il motivo per cui ti ho voluto qui.”
Giacomo esitò. “Chi sei?”.
L'uomo non rispose subito. Prese dal taschino un'elegante pipa intarsiata e soffiò delicatamente nel fornello. Una brace rossa si accese istantaneamente. Tirò alcune boccate, mentre il fumo azzurrognolo e aromatico saliva pigramente verso il soffitto.
“Chi sono?” Rispose. “La gente mi chiama con molti nomi. Samael, Shaytan, Iblis, Asmodeo, Moloch. Anche con alcuni nomi interessanti come Leviatano. Altri più...provinciali, come Tentatore o Signore delle mosche. Personalmente, l'epiteto che preferisco è L'Avversario. Suona potente ed elegante insieme. Non sembra anche a te?” Sorrise. “Comunque, per comodità, puoi chiamarmi Lucien.”
Giacomo si alzò di scatto dalla poltrona. “Questo scherzo del cazzo è durato anche troppo. Me ne vado.” Si avviò verso la porta.
“Tua figlia Laura, Giacomo. La tua bambina. È molto malata.” Aveva parlato con un tono di voce basso e perfettamente calmo. Giacomo si bloccò, con la mano sulla maniglia della porta.
“I medici non lo dicono,” continuò Lucien. “Ma non hanno speranze. Quel tumore...così raro e aggressivo...non ha casi di guarigione documentati.”
Giacomo staccò la mano dalla maniglia e mosse un paio di passi nervosi verso Lucien. “Sei uno di quei ciarlatani che vogliono spillarmi soldi per una cura miracolosa? Sei...”
Lucien aprì una mano, con il palmo rivolto verso Giacomo. “Giacomo...ti prego, siediti.” Come in un sogno, Giacomo tornò a sedersi sulla poltrona.
“Ti offro la guarigione di tua figlia, è vero. Ma senza intrugli da imbonitore di piazza. E non voglio soldi da te.”
“Vuoi la mia anima?” Sbottò Giacomo. “La mia anima in cambio della vita di Laura? È per questo che mi hai portato qui? Prendila. Prendila e salva mia figlia, se veramente sei in grado di farlo.”
Lucien rise. Una risata piena, sincera, senza traccia di derisione.
“Giacomo...le vostre anime me le regalate ogni giorno, senza nemmeno che io debba chiedere. Me le regalate con le vostre piccole crudeltà quotidiane. Con l'indifferenza, la menzogna, il tradimento. Con ogni volta che scegliete ciò che è facile invece di ciò che è giusto. Con ogni compromesso che fate pensando che non abbia peso.” Prese nuovamente la pipa e aspirò alcune boccate. “Non devo cacciare anime. È come raccogliere foglie in autunno; non finiscono mai.”
Si alzò dalla poltrona con un unico, fluido movimento. Passò dietro alla poltrona di Giacomo e si fermò alle sue spalle.
“No, Giacomo. Niente anime in cambio, niente contratti firmati con il sangue. Voglio proporti qualcos'altro.”
Giacomo rimase in silenzio, mentre Lucien appoggiava le mani sulle sue spalle. “Un gioco, se vuoi chiamarlo così. Tre prove. In ciascuna, dovrai decidere tra due possibilità. Nessuna sarà completamente giusta. Nessuna completamente sbagliata.”
Giacomo si voltò lentamente. “E...se supero le prove?”
“Tua figlia guarirà. Completamente. In un modo che nemmeno la medicina riuscirà a spiegarlo.”
“E se fallisco? Se scelgo la possibilità sbagliata?”
Lucien tolse le mani dalle spalle di Giacomo e tornò a sedersi. “Non esiste una risposta giusta, Giacomo. Non è un quiz in TV. Non c'è una via morale che possa salvarti l'anima e anche il cuore. In ognuna, sarai costretto a scegliere. E qualunque sia la tua scelta, qualcuno soffrirà. Morirà, forse. Forse si trascinerà dietro un'ombra per il resto dei suoi giorni. Ogni tua decisione sarà una lama.”
Giacomo era impallidito. Sembrava sul punto di svenire. “E se rifiutassi di scegliere?”
Lucien scrollò le spalle. “Allora la tua bambina morirà. Nel giro di qualche settimana. L'immobilità è un lusso che non ti concedo.” Fece una pausa. “È una partita, Giacomo. E tu puoi decidere se giocarla o restare a guardare il tavolo vuoto.”
“Perché dovrei fidarmi di te?” Disse Giacomo, con la voce che tremava leggermente. “Come faccio a sapere che non è solo una trappola? Una specie di sadico scherzo?”
Lucien unì i polpastrelli e lo guardò con un lieve sorriso sulle labbra. “Giacomo...fiducia è una parola curiosa. Gli umani la dispensano con leggerezza a politici, venditori e preti...eppure la negano a chi è sincero con loro.” Fece una smorfia teatrale. “Ti ho detto cosa offro. Ti ho detto cosa voglio. Non c'è trucco, non c'è inganno. Solo scelte.”
Accese nuovamente la pipa con un soffio leggero. “Ma capisco che tu voglia qualcosa di più delle parole. Direi che è una pretesa legittima.” Tirò un'altra boccata. “Rispondi pure al telefono.”
Giacomo lo guardò senza capire. “Il telefono...?” Un secondo dopo, il suo cellulare iniziò a squillare. Lo pescò dalla tasca interna della giacca. Sullo schermo illuminato, un nome.
Valeria. La sua ex moglie. Che in quel momento era in ospedale dalla loro figlia. Rispose alla chiamata con le dita tremanti. “Valeria...che succede?”
La voce di lei, agitata, rotta dai singhiozzi, ma felice. “Giacomo...sembra...sembra che stia meglio. La febbre si è abbassata, i valori sono stabili. I medici sono perplessi, dicono che è inspiegabile...”
Una pausa. Valeria singhiozzò piano. “È sveglia, Giacomo. Ti ha cercato. Vuole vederti.”
Giacomo chiuse gli occhi, mentre una stretta gli serrava la gola. “Sto arrivando.” Chiuse la chiamata. Rimase con il telefono in mano, lo sguardo perso nel vuoto. Poi si voltò verso Lucien, che si era alzato dalla poltrona e stava in piedi al centro della stanza, le mani dietro la schiena. “Tu pensi ancora che io voglia ingannarti. Ma vedi, Giacomo, il male più raffinato non è quello che si nasconde. È quello che si mostra, nudo e sincero, e ti lascia comunque scegliere.”
Lucien si avvicinò di un paio di passi. “Tre prove. Tre decisioni. Dopo l'ultima, tua figlia sarà salva. Se te ne vai adesso...il miglioramento sarà passeggero. Un'illusione. Solo un assaggio di ciò che potrebbe essere.”
Per un lungo momento, la stanza sembrò immersa nel silenzio più totale. Poi Giacomo parlò, a denti stretti. “Accetto.”
La bocca di Lucien si piegò in un sorriso soddisfatto. “Molto bene, Giacomo...molto bene.”
Fece un gesto con la mano e la porta si aprì da sola. “Ti contatterò presto. Ora vai, goditi questo piccolo dono. La tua bambina è sveglia e ti aspetta. Ma ricordati, è solo un anticipo. Come un sorso d'acqua prima dell'arsura.”

Valeria lo aspettava fuori dalla stanza, gli occhi ancora lucidi. “Sta meglio, davvero. I medici non capiscono come sia possibile. Ma è sveglia. Ti vuole vedere.”
Giacomo entrò nella stanza. Sua figlia era lì, pallida ma cosciente, gli occhi grandi che brillavano.
“Papà...”
Lui le prese la mano. “Sono qui, piccola. Come stai? Ti senti meglio?”
“Si,” rispose Laura. “Un po'.”
Giacomo le accarezzò i capelli. “Sai, ho fatto un sogno,” disse lei con voce flebile.
“Un sogno, tesoro? Raccontamelo.”
“C'era un signore vestito elegante. Fumava la pipa, come nonno Andrea. Era molto gentile. Mi ha detto che presto andrà tutto bene...ma che prima tu dovevi giocare con lui. Era strano, ma non mi faceva paura.”
Giacomo sentì lo stomaco attorcigliarsi. Le parole gli si piantarono in gola come cocci di vetro. “Ti...ti ha detto come si chiamava?”
Lei scosse piano la testa. “No. Però mi ha sorriso.”
Enzo Mariotti
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