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Writer Officina Blog
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Manuale di pubblicazione Amazon KDP. Sempre più autori
emergenti decidono di pubblicarse il proprio libro in Self su Amazon KDP,
ma spesso vengono intimoriti dalle possibili complicazioni tecniche. Questo
articolo offre una spiegazione semplice e dettagliata delle procedure da
seguire e permette il download di alcun file di esempio, sia per il testo
già formattato che per la copertina. |

Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto
di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da
un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici,
dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere
derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie
capacità senza la necessità di un partner, identificato nella
figura di un Editore. |

Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori,
arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel
DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti
di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli
della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle
favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia. |
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Compagna di viaggio
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La mattina successiva Valeria tornò a questa dimensione lentamente, rimase a occhi chiusi per parecchio tempo mentre assaporava il profumo caldo e muschiato della pelle di Carl. Godeva del piacere che le dava il petto villoso di lui sotto la guancia. Era perfettamente consapevole che lui stava vegliandola già da un po', sentiva la sua mano accarezzarle i capelli con dolcezza. Era una sensazione piacevole e non trovava il coraggio di aprire gli occhi e interrompere l'incanto di quel momento. Alla fine decise di dare qualche segno di vita: arricciò il naso, si stropicciò un occhio poi, appoggiò una mano sul petto di lui e si mise a giocare con la peluria nera che lo ricopriva. Si stiracchiò. Carl non smise di accarezzarle i capelli e le sussurrò all'orecchio con dolcezza: «Ti sei lamentata molto questa notte. Sembravi molto turbata. Ti calmavi un po' solo se ti stringevo forte. Mi hai fatto preoccupare». Lei, incredula, si mise a sedere con le gambe incrociate. I capelli le caddero a ripararle solo un po' il torace nudo, ma lasciarono scoperto il seno. Il lenzuolo che l'aveva protetta durante la notte le era scivolato sul corpo e dal candore del tessuto si affacciavano solo le ginocchia e una coscia. Era seria e indispettita, stava per mettersi a parlare, ma Carl non la lasciò neppure iniziare: «Quanto sei bella. Come fai a non capire che tutta questa bellezza di prima mattina mi turba e mi confonde. Se solo ti vedessi con i miei occhi ...». «Come?» chiese lei, perplessa. «Dico che non riesco a seguirti, qualsiasi cosa tu voglia dirmi.» Si spostò su di un fianco e sollevò la testa. Per rimanere in quella posizione fu costretto a piegare il cuscino e a puntarvi contro un gomito. Lei approfittò del momento di silenzio per dire la sua: «Ma come fai a stupirti del mio sonno agitato? C a r l è m o r t a m i a m a d r e! Cosa ti aspetti da me?». «Non mi aspetto nulla ... o forse mi aspetto ... mi aspettavo di vederti arrabbiata! Invece tu e tuo padre sembrate così sereni e in pace. L'unico a essere arrabbiato credo di essere io. Mi sono sentito così stupido in vostra compagnia. E non ce la facevo più a essere l'unico stupido disperato! Come fate a pensare che il vostro Dio sia buono, ancora oggi?» Lei rimase immobile a osservarlo a lungo. Carl abbassò lo sguardo e con la mano libera si mise a pulire il lenzuolo da pelucchi immaginari. «Scusami, non volevo dire una cosa sbagliata. Non posso perderti ancora.» Il volto di Valeria si addolcì e riprese a parlare con un tono diverso: «Mi hai perso perché non ti confidavi con me. Non esiste la cosa sbagliata da dire, voglio sempre sapere cosa hai in testa». Gli scarmigliò il ciuffo prima di proseguire. «Carl, però voglio che tu capisca cosa penso: come puoi incolpare Dio di quel che è successo? È così facile dare la colpa a Lui. Secondo me è un po' come dare la colpa alla maestra se prendi un brutto voto. La colpa è tua che non hai capito e non hai studiato ... voglio dire, Lui ti dà un tempo ... la vita e la morte si rincorrono e si completano come la luna e il sole. Forse il tempo non è uguale per tutti, ma non è detto che un tempo lungo sia migliore e più proficuo di un tempo corto. Ci sono persone che fanno fruttare molto meglio il loro tempo di altre che hanno vissuto cent'anni. Secondo me non è importante il quanto, ma il come. Ci dona la vita perché impariamo COME viverla.» Poi aggiunse: «Sì! Mi sono molto arrabbiata subito ... quando ho saputo che la mamma era ammalata, ma lei col suo modo di vivere ci ha lasciato un'eredità meravigliosa, e io voglio portarla avanti per quanto mi è possibile. Capisci?». Carl aveva un'espressione confusa, ma la ascoltava. Dopo un po' fece un cenno affermativo con la testa e lei continuò: «Mia madre con le sue ultime scelte ci ha insegnato una lezione importante. Ci ha insegnato che il bicchiere può essere visto o mezzo pieno o mezzo vuoto. Io ho scelto di vederlo mezzo pieno, di gioire di tutto il tempo che ho avuto da passare con lei, di tutto l'amore che mi ha dato, di tutto quello con cui lei ha riempito la mia vita. È stato così tanto che potrò goderne ancora per molti anni». Prese fiato, aveva le guance in fiamme, si sentiva accaldata ma volle comunque proseguire: «Tu hai scelto di vederlo mezzo vuoto, di vedere quello che hai perso, il tempo che avresti potuto avere con lei, ma ti è stato negato. È questo che ti fa arrabbiare, ma scusa se te lo dico: non serve a nulla. Se ti è più semplice prendertela con Dio, sei liberissimo di farlo, ma fossi in te mi guarderei allo specchio. Sei tu che hai scelto il bicchiere mezzo vuoto, che hai deciso di guardare quello che non hai avuto. Che hai scelto la rabbia. Per cui, sì, mi manca, sì, soffro, sì, vorrei toccarla e sentire la sua voce, sì, vorrei avere la certezza che sta bene, ma non sono arrabbiata, sono solo triste». Carl la guardò e poi senza dire una parola si mise a piangere in silenzio. Lei gli strinse la mano e lo lasciò fare. (...)
Indossò la solita tuta ed una sciarpa certa che la temperatura esterna fosse tale da permetterle di uscire senza indossare guanti e cappello. Victoria l'accompagnò lungo il vialetto fino al cancello, poi preferì tornare sui suoi passi, era troppo vecchia per trotterellarle dietro sull'argine del fiume come faceva quando era una giovane gattina, così Valeria proseguì la sua corsa da sola col solito ritmo sostenuto. Le ci volle un po' per realizzare che non c'era poi così caldo. Il sudore che le imperlava la fronte e le scendeva lungo la schiena le si ghiacciava addosso per cui decise di tornare sui suoi passi verso casa. Si rimproverò per aver preso con troppa leggerezza le decisioni sul suo abbigliamento. Dovette rallentare il ritmo della corsa. Ad un certo punto si rese conto di ansimare in modo sproporzionato allo sforzo che stava compiendo. Il sudore freddo sulla fronte le causava delle spiacevoli fitte alla testa. «Accidenti che stupida che sei Valeria. Adesso ti verrà un bel mal di testa e per evitarlo ti sarebbe bastato un cappello. » Si rimproverò e decise di rallentare ma aveva la sensazione che il dolore alla testa continuasse ad intensificarsi. Le venne un po' d'ansia e preferì chiamare Carl. Non se la sentiva di fare tutto il percorso da sola, se il dolore fosse peggiorato non sapeva cosa poteva succederle. Questo pensiero la tormentava e l'angoscia cresceva col passare del tempo. Il dolore peggiorava come se un martello le battesse forte sulle tempie. Dovette sedersi a terra e seguendo l'istinto si premette le mani sulle orecchie, un rumore forte e ripetitivo la assordava, non riusciva a capire cosa fosse. Rimase così, avviluppata su se stessa mentre ripeteva in un sussurrò continuo: «Cos'è questo suono? Sembra un cuore che batte. Ho freddo. Accidenti che dolore. Cosa ne era stato di quella bambina che di notte correva per le vie di Castel Nuovo alla ricerca del fantasma della principessa? Cosa ne è stato di me? Questo suono cos'è? Da dove viene? E se Carl non mi trova... cosa mi succederà? Dov'è la bambina che cerca la principessa?» Si dondolava. Non lo vide arrivare. Carl la chiamava ma lei non poteva rispondere. Respirava a fatica e sgranava gli occhi, continuava a tapparsi le orecchie nella speranza che il rumore del cuore cessasse. Valeria si sentì abbracciare. Carl l'aveva trovata. Riconobbe subito il suo profumo e la delicatezza dei suoi gesti. Si fece forza e sollevò la testa per guardarlo, mentre lui le sistemava i capelli sudati dietro le orecchie, anche con gli occhi appannati si rese conto che lui era più sconvolto di lei. Lo sentì sussurrare tra i denti con rabbia: «Stai calma. Piccola stai calma che forse è solo mal di testa. Il dolore comunque è meglio della paura. Il dolore si cura con un analgesico ma non esiste una pastiglia per la paura ed anche esistesse non riuscirei mai a convincerti a prenderla. Cazzo stai calma, vedrei che non è niente. » Si mise a cullarla. «Vally mi senti? Come stai? Cosa ti senti? Cos'hai Vally? » Le chiese e Valeria che aveva la sensazione di vivere quasi un'esperienza extracorporea, riuscì a pensare che Carl si sforzava di usare un tono tranquillo ma stava per perdere il controllo. Si rese conto di non voler essere la causa dell'angoscia di lui e comandò alla sua bocca di rispondere: «Parla piano mi scoppia la testa! » «Così tanto? » La ragazza continuava ad ansimare e sgranava gli occhi in modo innaturale, si sentiva strana. Lo afferrò per la maglietta. «No. In realtà non così tanto ... ma abbastanza da dover prendere qualche stupida medicina ed io non posso farlo. Accidenti lo capisci che non posso prendere medicine? Perché non lo capisci? » Aveva la voce alterata, pareva isterica. «Valeria calmati! C A L M A T I ! » Le ordinò scuotendola, col solo risultato di farla agitare di più. Lo sentì fare dei respiri profondi. «Vally scusami non volevo farti paura. Cerca di stare tranquilla. In macchina ho una coperta. Se ti scaldi sono sicuro che il male passa e forse riuscirai a non prendere farmaci. Sei tutta congelata e bagnata. Devi solo respirare con calma come tu sei capace di fare. Respira piano. » Gli si aggrappò, come fosse il suo angelo custode, cercò i suoi occhi e continuò a fissarlo mentre tentava di ridare un ritmo regolare e lento al suo respiro. Riprese in parte il controllo del suo corpo e delle sue facoltà mentali. «Dici che se mi calmo posso fare senza farmaci? » «Probabilmente si. Andiamo al caldo. Staremo meglio tutti e due, qui fuori si gela e tu sei poco vestita. »
Si alzarono a fatica da terra e si avviarono abbracciati verso l'auto poco distante. «Non ho tanto male ma mi dà delle fitte tremende. » «Credo sia il freddo. » «Dici sia solo il freddo? Non mi sta capitando nulla di brutto? Non perderò il controllo? » «Mi pare tu lo abbia già perso, lo stai riprendendo ... Almeno spero. » «Non intendevo il controllo sulla paura ma, sulla mia vita. Non resterò incosciente? » «Porca miseria Valeria, ma cosa dici? Quante volte hai avuto male alla testa in vita tua? Non ti è mai successo niente di più che dover prendere una pastiglia. » «Adesso mi sembra peggio. Più difficile. » «Non è peggio, ne hai solo paura. Per favore sali in auto che ti copro. » Carl le fece indossare una giacca che teneva nel bagagliaio e la coprì con delicatezza con un panno, le sistemò i capelli per un po', le accarezzò il viso, la baciò in fronte e chiuse la portiera. Lo vide girare intorno all'auto, aveva lo sguardo perso e si sistemava gli occhiali mentre camminava con una stana lentezza, poi salì in auto e per un po' non disse nulla. Chiuse gli occhi mentre lasciava cadere la testa contro il poggiatesta e sospirò una volta sola. Valeria trovò il coraggio di rompere il silenzio, deglutì per ingoiare il nodo che aveva in gola prima di parlare: «Scusami Carl, mi dispiace così tanto. Non volevo spaventarti. Non voglio rovinarti la vita. E' che non so cosa fare... » Mentre parlava sentì le lacrime rigarle le guance. «Non mi rovini la vita. Non dire stupidate. » Lui si girò le sorrise e col pollice le asciugò il viso «Hai tutte le guance rosse. » «Come i capelli? » «Si un po' come i capelli. Sono belle. » Staccò la mano dal suo viso e la lasciò scivolare sotto il panno fino a raggiungere quella di lei. Rimasero per un po' in silenzio a guardarsi. Poi le disse: «Non so cosa devi fare Vally. Cazzo non sai come vorrei avere una risposta, ma voglio che tu ti ricordi sempre che io ci sono. Non ti mollo. Usciamo anche da sta storia. Te lo prometto. Non so ancora come ma te lo prometto. » Valeria esausta fece un cenno affermativo con la testa. Carl mise in moto e partirono, lei lasciò vagare lo sguardo fuori dal finestrino, finché non lo senti dire: «Devi rivolgerti a un medico. Intendo uno psicologo. Qualcuno che ti aiuti » La ragazza si girò di scatto a guardarlo. Più che un'affermazione pareva un ordine ma, non aveva voglia di ribattere. Andarono verso casa senza più dire una parola. |
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